Incontri con uomini straordinari, Franco Palazzi

Franco Palazzi lo conobbi se non ricordo male in un qualche lontano CACF svoltosi in Bologna negli anni a cavallo tra il 1995 e 1997.

Franco lavorava allora per Mauro Sabbadini. Copriva con il suo lavoro di agente, le zone della Toscana e della Liguria oltre che parecchi clienti nella zona di Milano. Franco aveva a quel tempo immagino circa una sessantina d’ anni ed era a pochi passi dalla pensione.

All’ inizio della nostra conoscenza l’ unico motivo di discussione comune era incentrato sulle forbici Matsuzaki che io rappresentavo in esclusiva per l’ Italia, ma delle quali lui era profondo conoscitore avendole vendute per molti anni sotto l’ esclusiva di Mauro Sabbadini, al quale ero riuscito a strappare con un buon lavoro, l’ esclusiva per l’Italia. Lui si avvicinò al nostro piccolo stand con il suo fare pacioso e con una giacca pied de poule marrone. I baffi grigi e gli occhi splendentemente vivi a volte di tonalità azzurra.

Franco era un uomo alto un buon metro e ottanta, leggermente appesantito dall’ età, ma comunque in ottima forma. Tutto iniziò parlando di un modello particolare delle forbici che rappresentavo, si trattava di un modello di punta con la sigla SFX. Questo modello aveva una caratteristica che lo distingueva tra tutte le forbici in collezione, aveva infatti il perno disassato. La vite del fulcro che solitamente si trova in posizione centrale, nella SFX invece si trova leggermente spostato verso l’ esterno. Un accorgimento tecnico che permette alle forbici di avere in fase di chiusura una lama leggermente più lunga rispetto all’altra, in questo modo i capelli vengono come catturati, non permettendo loro di scivolare in avanti. Un grande modello, superbo.

Non veniva prodotto in grande serie e chi lo aveva acquistato magari nemmeno conosceva questo particolare tecnico. Semplicemente sarebbe stato certamente attratto dal suo disegno spettacolare a forma di scimitarra. Ecco, questo fù il primo argomento che ci introdusse verso un’ amicizia e che condusse me alla conoscenza di un uomo straordinario. Per molto tempo il rapporto tra Franco e me rimase solo quello degli incontri al CACF o al Cosmoprof. Ogni anno, con cadenza regolare ci si vedeva per due volte al CACF ed una al Cosmoprof. Nulla di più. Ma con il passare del tempo presi a rimanere affascinato dai racconti dei viaggi di Franco. Lui come altri a quei tempi e parlo degli anni settanta/ottanta, coprivano macrozone tipo regioni intere per capirci.

Partiva al lunedì da Milano e si recava a seconda del giro visite che aveva in programma in Toscana o in Liguria, visitando con regolarità una fila enorme di parrucchiere e parrucchieri, presentando loro con enormi valigie, centinaia tra forcine, becchi, pettini, mantelle, forbici e tutto il possibile che potesse riguardare l’attrezzatura di un salone di acconciatura. Nulla che non fosse attrezzatura, nessun prodotto come shampoo ed affini. Questa infatti era la distribuzione di Mauro Sabbadini e della azienda Sabbadini in particolare,fondata dal padre Aldo cinquanta e passa anni or sono.

Poi arrivò la pensione, di lì a qualche anno. Franco aveva da sempre sognato di trasferirsi dalla sua Milano in Liguria e così avvenne. Con la sua compagna Angela coronò il sogno di una vita. Si stabilì a Finale Ligure.

Franco mi contattò e da lì prese vita quello che fu per me un importante periodo della mia vita.

Andai un giorno di gennaio, circa il dieci dell’anno 2001. In Lombardia regnava nebbia e maltempo. Al solo valicare il Turchino, passai dai meno di Bergamo, ai dieci gradi di un assolata Finale Ligure.

Trovai Franco in piazza. Mi aspettava con la sua solita sigaretta al lato destro della bocca. La sua proposta fu quella di aiutarmi nello sviluppo delle distribuzione del marchio in Liguria, terra che lui conosceva bene per averci lavorato per anni. Io sapevo che lui non lo faceva per i soldi, lo faceva unicamente per darmi una mano. Ci accordammo in questo modo: lui mi segnalava dei saloni interessati ed io giravo a lui una piccola percentuale del lavoro svolto. Sancito il nostro accordo iniziammo già da quei giorni a visitare alcuni suoi clienti sparpagliati tra levante e ponente ligure. Complice un bel sole che solo in Liguria trovi a gennaio, quei giorni furono i primi fianco a fianco a lui.

E lì, prese vita la mia conoscenza di uomo straordinario.

Franco prese a raccontarmi dei suoi trascorsi negli anni sessanta come agente per Oreàl. Della sua conoscenza di un allora giovane Aldo Coppola e dei suoi genitori in un negozio che sapeva di buono e pulito come diceva lui. Di tanti piccoli e curiosi aneddoti di un periodo d’oro come fu quello a cavallo tra i sessanta ed i settanta. Io innamorato come sono di quegli anni, ci perdevo la testa ad ascoltarlo e non volevo smettesse mai, lo sollecitavo a ricordare altre mille e mille cose che potessero farmi rivivere un periodo che per me significava guardare gli altri dal basso all’alto con i braghini corti avendo io a quell’epoca quattro, cinque anni al massimo.

Il bello di Franco era che lui aveva sempre una certa calma. Io correvo con l’auto per cercare di fare un paio di visite in più e lui imperterrito invece stava seduto calmo calmo alla mia destra conducendomi per ogni via e pertugio di Genova, come di Alassio o di Ventimiglia.

Alla sera, era d’uopo andare a cena. Sempre accompagnati da Angela sua fedele compagna. Mai in locali dove si spendeva a vanvera, piuttosto invece in tipiche trattorie casalinghe dove gustare zuppe di pesce fatte in casa e bianchetti come antipasto o in polpettine fritte deliziose.

Le nostre serate finivano sempre per ascoltare da parte mia i loro racconti circa il loro viaggio più bello che poi era quello che si svolse a Cuba un paio di anni prima. Franco ed Angela avevano idee politiche ben chiare ed erano ancora visibilmente felici di avervi trascorso un mese nell’isola caraibica, non quanto per prendersi la tintarella ma bensì per provare di persona come si vivesse nell’isola della rivoluzione sociale ed economica voluta da Castro nel cinquantanove.

Loro erano di un bello ad ascoltarli che ci stavo intere sere a guardarli felici come due ragazzini la prima notte d’amore. Una passeggiata in riva al mare di solito concludeva la serata, con le nostre immancabili tre sigarette.

Dopo il primo approccio di quel gennaio fecero seguito altre settimane trascorse in loro compagnia nell’arco di quel 2001. Franco ed io sempre in giro da parrucchieri interessati a provare i miei articoli ed Angela a Finale Ligure che ci aspettava la sera per una cena in trattoria.

Io sempre affascinato dai suoi racconti e lui galvanizzato dalla mia presenza e dalla mia voglia di vivere.

Poi, un giorno, Angela mi chiamò e mi disse che Franco si era fatto male cadendo dal suo scooter. Infatti aveva preso questo maxi scooter per potere meglio girare sopratutto a Genova. Ma io sapevo in fondo in fondo che lui lo aveva acquistato perché a lui piaceva da matti andare in moto da sempre. La moto era una delle passioni che condividevamo e che ci vedeva azzuffarsi per il tifo sperticato verso un pilota piuttosto che un altro. Franco cadde senza un apparente motivo e per sua fortuna non si fece un granché male. Un gesso provvisorio ed un bel po di escoriazioni.

Ma ciò che preoccupava Angela era il motivo della caduta. Franco all’improvviso, così risultò dai testimoni presenti, cadde come per un malore. Ed Angela che amava Franco mi espresse dubbi circa le capacità di condurre ancora con sicurezza la moto.

Ma poi, velocemente tutto questo passò e Franco ritornò in moto, come se nulla fosse.

Fu poi invece Franco a telefonarmi e comunicarmi che Angela stava poco bene. Mi recai da loro che era ottobre. Angela aveva problemi e Franco ne soffriva parecchio. Quella volta non andammo in giro per visite, semplicemente rimanemmo a Finale per un paio di giorni per qualche mesta uscita a cena, priva però di allegria.

A gennaio del 2002 ricevetti una telefonata di Angela.

Capii subito che quella telefonata aveva un tono brutto, molto.

Angela, aveva la voce strozzata dal pianto. Non parlava, in pratica. A monosillabi cercava di dirmi che Franco era morto.

Ero in ufficio ,mi si strinse la gola quasi come se avessi inghiottito vetro.

Angela piangeva e urlava il suo dolore. Ed io ero una maschera di lacrime, incessanti, lente, tristi.

Franco, mi disse, aveva avuto un attacco cardiaco. In mezz’ora aveva smesso di soffrire.

Sai quando non ci credi?

Sai quando ti prende una di quelle cose in testa che ti gira tutto?

Angela parlava ed io cercavo di capire, di consolarla. Ma quello da consolare ero io.

Di colpo riavvolsi il nastro e schiacciai play su un suo racconto, che pressapoco faceva cosi…..

Un giorno ci trovavamo a Diano Marina, sarà stato aprile.Primo pomeriggio e quel caldino da giacca e camicia. Una brezza leggera increspava il mare e noi due ci stavamo recando tipo Starsky e Hutch da Renato e Francesca, un cliente da visitare a Diano Marina.

Ad un certo punto distrattamente, sull’ Aurelia, Franco vide una piccola pensione, affacciata sul mare e mi disse “vedi Luca, in quella pensione ci ho passato mesi a forza di dormirci quando venivo in Liguria e mi ci fermavo anche quattro giorni la settimana”.

Io diedi un occhiata distratta alla pensioncina ed annuii. Il mio pensiero era tutto per la visita che dovevamo di li a poco fare da un cliente importante. Franco accortosi, non proseguì e quasi volevo scusarmi per avere quasi scansato il suo discorso, ma lui con quel suo fare di che ne sa davvero, aspirò una boccata di fumo e con il suo gomito appoggiato fuori dal finestrino voltò leggermente il capo verso la pensioncina che scorreva via alle nostre spalle, veloce.

La scena la rivedo a distanza di otto anni come se fosse qui ora.

Risalimmo in auto dopo la visita e ci mettemmo in strada per tornare a Finale Ligure dove ci aspettava per sera Angela per la consueta cena in trattoria.

Franco, taciturno si accendeva le sue sigarette una dietro l’altra e capivo che era arrabbiato con me.

Lo avevo in qualche modo offeso non volendolo ascoltare, ma in quel momento ero concentrato sulla visita e non mi sentivo di parlare di altro in quanto sapevo poi che Franco si sarebbe dilungato per raccontarmi qualcosa in particolare. E non ne avevamo tempo.

Dopo una ventina di minuti ci incontrammo con lo sguardo e ci lasciammo andare ad un sorriso distensivo. Un paio di sigarette sistemarono tutto. E lui prese a raccontarmi. Il giorno volgeva al termine e davanti a me Capo Noli con le sue curve mi invogliavano ad ascoltarlo con attenzione.

Luca, in quella pensione , ti dicevo, ci ho passato interi mesi a forza di soggiornarci. Devi sapere che quando si é stanchi alla sera dopo avere macinato chilometri e visite é buona norma farsi una doccia e non un bagno prima di uscire per una cena. Alla sua affermazione quasi scoppiai a ridere come se avesse detto una cosa ridicola. Invece lui insistette. Si, Luca. Devi fare la doccia. E non deve essere troppo calda, tiepida il giusto.

Eh boh Franco, dissi io, ma che mi stai dicendo, ribattei con un sorriso sulle labbra.

Lui continuò con la sua teoria sulla doccia che a dir suo era un momento clou della giornata!

Tiepida deve essere l’acqua altrimenti se la fai troppo calda ti viene un abbiocco che in trattoria non ci vai mica, e poi il trucco sai quale é? devi farti scendere l’acqua esattamente sui nervi cervicali.

Rimani così per cinque, dieci minuti. Appoggia le mani contro la parete della doccia e stai fermo senza muoverti. Lascia colare l’acqua incessante dietro la testa e vedrai che ti sentirai come se la giornata non avesse avuto tutte le sue difficoltà, tutti i suoi chilometri, tutta la sua stanchezza.

Aspirò una boccata di fumo enorme, soddisfatto, svuotato come di un segreto. I suoi baffi bianchi mi sorrisero. E io rividi la scena di un uomo, solo, quanto lo può essere un viaggiatore (una volta venivano chiamati così  i rappresentanti)  alla sera, che lontano da casa, dagli affetti, cerca di ritrovare delle abitudini, cerca di trovare riposo e cibo per essere in forze per la giornata seguente fatta ancora di chilometri, di persone  da incontrare e da tanta tanta solitudine.

Franco era visibilmente felice, appagato, non so come dire. Mi pareva che mi avesse lasciato in eredità una cosa preziosa. In quel momento, in quel giorno, non diedi un importanza appropriata alla cosa, anche perché Franco di consigli me ne aveva dati una quantità enorme ma quasi tutti riguardavano la vendita.

Quel giorno poi mai avrei immaginato che Franco mi lasciasse solo così repentinamente .

Rientrammo a Finale discutendo del più e del meno e una volta arrivato nella mia stanza misi in pratica quanto suggeritomi da Franco poco prima. Rimasi sotto la doccia, fermo, cercando di trovare la giusta temperatura come mi aveva suggerito lui. Ci restai per dieci minuti abbondanti. Sentivo ronzare nelle orecchie i suggerimenti di Franco e con lui tutti i suoi viaggi, le sue trattorie, i saloni di acconciatura, la sua Citroen, i suoi baffi sorridenti, la sua sigaretta appiccicata all’angolo destro della bocca.

Alla solita trattoria con Angela quella sera. Bianchetti e zuppa di pesce. Vino rosso.

Franco mi guardava e cercava di capire se avessi messo in pratica il suo “segreto”. Io lo guardai e senza dire nulla ci capimmo. Franco sorrise, sul suo viso si stampò un espressione di tale soddisfazione che non cancellerò mai dalla mia mente.

Da allora, da quando Franco non é più qui con me, con noi, questa é la cosa che mi porto più dentro. Ogni doccia che mi prendo, cerco con metodo di farla come mi disse allora quel giorno. E lui mi sorride.

Ciao Franco, possa tu trovare la tua trattoria e la tua pensioncina lassù e mi raccomando, acqua tiepida che cola dietro il coppino, come dicevi tu in milanese…..

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